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Le battute e le pause

Disponibile anche tramite podcast.

Una mattina conduco il laboratorio di Logoteatroterapia con tre bambini di seconda e terza elementare. Le patologie dalle quali sono affetti fanno sì che (per motivi differenti) abbiano un’enorme difficoltà a “sentire” e quindi utilizzare la pausa, sia verbale che motoria. Durante le

Cecilia Moreschi
settimane precedenti abbiamo fatto insieme numerosi giochi che avevano proprio questo obiettivo, sia in modalità statica che dinamica. Nei giochi si sono sempre divertiti e sono stati bravi, ma mi accorgo che ancora non hanno generalizzato l’apprendimento nella vita quotidiana.
Pertanto, decido di spendere ancora un po’ di tempo per lavorare su questo aspetto, ma prendendo un’altra strada.
I tre bambini hanno fatto con me numerose entrate in scena, dove fingevano di essere in un ambiente diverso e di conseguenza erano personaggi diversi. Hanno rinforzato il linguaggio spontaneo adeguato al contesto e sperimentato il corpo e la parola che entrano in relazione con l’altro. Oggi quindi utilizzeremo dunque direttamente la recitazione per lavorare sulla pausa.
Una delle terapiste presenti inventa una battuta. Chiedo ad Alessia (nome di fantasia come tutti gli altri), una delle bambine, di contare di quante parole è composta la frase. Poi le chiedo di scegliere fra quali di queste vuole che io inserisca una pausa. La piccola mi dice “...fra la terza e la quarta”. Benissimo: come sempre accade nella Logoteatroterapia, l’operatore è il primo a mettersi in gioco, sia per fare da modello ai bambini, sia per sperimentare egli o ella stessa gli apprendimenti che intende far passare. Quindi inizio io l’improvvisazione in cui inserisco la battuta in un contesto tale da giustificare l’esistenza della pausa, ovvero un attimo di indecisione nella scelta dei gusti del gelato. Subito dopo tocca proprio ad Alessia, la quale deve inserire e giustificare la pausa nella battuta Ho il treno per… Roma alle 17.30. La bambina ci pensa per qualche secondo, poi le viene l’idea di fingere un incontro con lo zio; nella conversazione che segue, ha un’improvvisa dimenticanza della destinazione del treno. È la volta di Diego, il quale si trova a dover giustificare l’inserimento della pausa nella battuta Ti chiamo fra cinque… minuti. Proviamo solo la battuta tutti insieme, con la pausa che abbiamo scelto. Il bambino ha poi bisogno di un piccolo aiuto nell’ideare il contesto scenico: ecco che Siria gli propone di fingere di trovarsi a casa di un amico. Diego non è molto convinto ma inizia a recitare, visto che non ha altre idee. Ed è proprio lì, nel bel mezzo dell’improvvisazione, che gli arriva l’illuminazione, forte e chiara: squilla il telefono, è la mamma che lo chiama. Ma lui è talmente preso dal gioco con l’amico che risponde distrattamente e addirittura fa una pausa significativa nel punto concordato.
Ecco che ancora una volta il teatro utilizzato come mezzo e non come fine, ci ha permesso di prendere coscienza e lavorare su un importante aspetto. La pausa non è solo interruzione: è respiro, è riflessione, è possibilità di scegliere le parole esatte da pronunciare. È un attimo di calma, di pace, di guardarsi negli occhi. E magari anche sorridere.

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