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Il movimento nella gestione della rabbia

Disponibile anche tramite podcast.

L’eminente psichiatra statunitense Daniel J. Siegel è noto, tra le altre cose, per il suo lavoro in ambito di neurobiologia interpersonale. Nelle sue numerose specializzazioni vi è quella per la crescita sana e armoniosa di bambini e adolescenti, e come i genitori possano attuare piccole strategie in grado di facilitare il sereno sviluppo dei propri figli. Ha scritto numerosi testi, tra cui “Dodici strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino”. In esso Siegel afferma con grande chiarezza che il movimento del corpo influisce sulla chimica cerebrale; pertanto, modificare il nostro stato fisico con una corsa o un ballo improvvisato può cambiare il nostro stato emotivo. Infatti “… il flusso di energia e informazioni che dal corpo sale verso il tronco encefalico e verso il sistema limbico per poi giungere alla corteccia modifica non solo gli stati corporei ma anche gli stati emotivi e i pensieri”.
Un pomeriggio il laboratorio di Logoteatroterapia ospita Lorenzo, nome di fantasia, ragazzino di 12 anni. Affetto da iperattività, DSA e DOP, il nostro è dotato di grande intelligenza e sensibilità. Spesso arriva arrabbiato, non tollera le prese in giro dei suoi compagni di scuola, e la rabbia si è spesso

Cecilia Moreschi
amplificata dentro di lui fino a farlo scoppiare come un vulcano che erutta. Quel pomeriggio non fa eccezione, ma dopo essermi fatta narrare gli ultimi avvenimenti, lo invito a muoversi insieme a me al suono del tamburo, prima di improvvisare gli accadimenti. Spero infatti che il movimento nello spazio lo aiuti a riacquistare un minimo di controllo e lucidità, senza il quale non sarà possibile elaborare scenicamente il suo vissuto.
Lorenzo vorrebbe rifiutarsi, afferma a chiare lettere che muoversi nella stanza seguendo il ritmo dello strumento è un’attività sciocca e inutile. Ma appena una collega inizia a suonare, parte il movimento dal suo corpo (quasi che andasse contro la sua volontà) e il ragazzino tira fuori tutta l’energia negativa al ritmo del tamburo. Non solo, dopo qualche minuto mi chiederà di suonare lui. Passiamo così un po’ di tempo, in cui i nostri corpi sono coinvolti in una danza liberatoria dal vago sapore tribale, quando invito tutti a fermarsi, respirare e prepararsi alla prossima improvvisazione. Recitiamo dunque le prese in giro subite da un amico di Lorenzo, nelle quali quest’ultimo chiede di fare il bullo. Successivamente mettiamo in scena quel che era accaduto a lui, e il ragazzino riesce a rispondere alle due odiose criticone con grande maturità. Non appena tende a esagerare, lo fermo e lo riporto al punto in cui le sue battute erano adeguatissime. Nel contesto scenico ci possiamo fermare, elaborare l’accaduto, ricominciare, aggiustare il tiro. Alla fine dell’improvvisazione Lorenzo ha messo a fuoco frasi corrette con le quali rispondere ai compagni più antipatici senza passare dalla parte del torto. Lo vedo sorridere, chiacchierare con l’amico.
Anche questo è un obiettivo importantissimo della Logoteatroterapia: rendere più sereni i nostri ragazzi, non più mere vittime delle proprie emozioni ma capaci di controllarle ed elaborare verbalmente le corrette risposte.

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