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Dialogo verbale e non verbale

Disponibile a breve anche tramite podcast.

Una cosa che non cessa di stupirmi è quanto ognuno dei ragazzi che partecipi al laboratorio di Logoteatroterapia possa in determinati momenti risultare terapeuticamente funzionale nei confronti dei compagni che gli stanno accanto.
Ecco il racconto di un piccolo ma significativo episodio.
Stiamo creando insieme la prima scena del nuovo spettacolo. Ho ascoltato le idee, le proposte di tutti i miei adolescenti e pian piano si delinea la trama della nostra prossima performance. I primi due attori sono Andrea e Valentina (nomi di fantasia). A causa degli importanti disturbi dai quali sono affetti, il comportamento dei due è praticamente opposto: Andrea parla tantissimo, una volta che inizia non ha la capacità di terminare e concludere il discorso. Valentina al contrario è una ragazza molto espressiva ma che utilizza raramente l’aspetto verbale, preferendo enormemente la scrittura, la mimica, la gestualità. Ed eccoli a recitare insieme.
Oltre alle entrate e uscite di scena e alle azioni che compiono, a un certo punto i due si devono incontrare e instaurare un dialogo. Sanno entrambi di cosa deve parlare la prima scena e improvvisano a modo loro. Nella spontaneità dell’improvvisazione, vengono fuori elementi significativi e a volte esilaranti, ma confusi, mescolati in una sorta di groviglio verbale e non verbale, dove le parole dell’uno si sovrappongono ai gesti dell’altra, dove la postura è rimasta in ritardo rispetto alla frase e così via. Ma le idee, le intuizioni ci sono tutte. Quindi faccio fare un grande applauso ai due attori e li invito a ricominciare, “mettendo ordine” in questo loro anticonvenzionale dialogo. “Andrea, partiamo dalla tua prima battuta”, dico. “Va benissimo, ma a questo punto ti devi fermare perché hai già espresso quel che volevi dire e devi dare ora spazio a Valentina per risponderti”, sono costretta ad aggiungere a un tratto. Andrea ricomincia e si ferma al momento stabilito. Valentina dovrebbe rispondere con una serie di tre posture e gesti, che

Cecilia Moreschi
veicolano una frase non verbale composta da tre elementi, ma nella fretta emotiva del momento si ritrova a saltare il secondo e fare solo il primo e il terzo. Riproducendo io stessa i suoi movimenti attraverso l’esercizio de “lo specchio” le mostro che saltare quel passaggio sarebbe come dire che nella “mamma chiede a Cappuccetto Rosso e la bambina va nel bosco”, manchi un fondamentale dettaglio. Ovvero “cosa” la donna chiede a Cappuccetto Rosso. In tal caso lettori o spettatori non comprenderebbero appieno a causa dell’assenza di un elemento cruciale. Ribadisco ancora una volta quanto i nostri gesti, la mimica e la postura debbano essere “puliti” se vogliamo che trasmettano significati chiari a chi ci sta ascoltando. Esattamente come la frase verbale, qualora troppo lunga ed eccessivamente ricca di subordinate, si appesantisce e porta l’interlocutore a distrarsi, invece di catturare pienamente la sua attenzione.
Continuiamo così, con questa attenzione a tutte le battute, quelle verbali e quelle non verbali. A un certo punto lascio da soli i ragazzi a terminare la scena, ormai hanno compreso e valorizzano i loro punti di forza limando al contempo le imperfezioni. E così facendo la scena termina in maniera talmente esilarante da indurci a scoppiare tutti in una gran risata.
Valentina e Andrea sono contenti, sorridono soddisfatti. Ciascuno ha supportato l’altro nell’esprimersi sempre meglio e nel mettere in campo i propri talenti a favore dei compagni e dello spettacolo, opera dei singoli come dell’intero gruppo.

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