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Quando i ragazzi ci insegnano

Disponibile anche tramite podcast.

La Logoteatroterapia è nata e si è sviluppata seguendo un percorso totalmente empirico, ovvero sperimentando insieme a bambini e ragazzi le varie attività atte a raggiungere un determinato obiettivo. L’esperienza e i partecipanti sono stati di volta in volta ispiratori e severi correttori di tutti quegli errori e quelle imperfezioni che accidentalmente rallentano il cammino di una nuova disciplina, anche se il più delle volte anch’essi sono utilissimi a mettere a fuoco maggiormente quel che invece può essere utile nei vari contesti.
Come ogni disciplina artistica e terapeutica al tempo stesso, essa è duttile e si adatta alle necessità di ogni singolo partecipante. Tale flessibilità la arricchisce di nuove esperienze, nuove modalità di raggiungere l’obiettivo prefissato.
Ecco infatti che Claudia Fusari, logopedista di Foligno e conduttrice di un laboratorio di Logoteatroterapia, si trova a lavorare con ragazzi affetti da importanti patologie e struttura insieme a me un percorso “cucito” loro addosso, come il vestito di Arlecchino. Nel corso delle settimane si accorge che i suoi hanno enorme difficoltà a realizzare il “quadro vivente” anche solo per l’impossibilità a star fermi nello spazio scenico scevro di ogni riferimento ambientale, e fingere di trovarsi ad esempio al parco a portare a spasso il cane. Così le viene l’idea di affidarsi a un supporto visivo: realizza delle tavole con vari scenari e a parte disegna personaggi relativi a quell’ambiente specifico che possano essere ritagliati da ciascun ragazzo e posti sopra la tavola nel punto che egli/ella ritenga maggiormente consono. Successivamente, tenendo sempre visibile la tavola su un lato dello spazio scenico, ciascuno proverà a riprodurre con il proprio corpo quanto veduto nel supporto visivo. Il ragazzo opererà quindi una traslazione corporea e spaziale del contenuto che ha lavorato a tavolino con disegni, forbici e colori.
Trovo quest’idea davvero utile e funzionale e mi riprometto di utilizzarla anche io laddove mi ritrovi in una condizione simile a quella di Fusari.  Ma la cosa più importante e degna di nota è la passione che la logopedista ha messo nel suo lavoro, passione che non le ha permesso di arrendersi di fronte alle difficoltà ma, al contrario, di ideare creativamente altri supporti e tracciare nuovi sentieri che si adattino perfettamente ai ragazzi con i quali opera. E che in futuro, potranno essere d’aiuto anche ad altri.

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