Fabiana Romanelli, oltre ad aver partecipato al corso per professionisti di Logoteatroterapia, è una maestra montessoriana davvero speciale. Condivide con noi un’esperienza vissuta con il proprio gruppo classe, tanto semplice quanto potente, dalla quale traspare la passione che mette nel suo lavoro e la cura per ciascun bambino, nella sua unicità.
È un caldo venerdì pomeriggio di maggio, non solo per il sole che batte sulle finestre della nostra classe. Durante la mattinata alcuni episodi hanno condizionato lo stato d’animo dei bambini: sono agitati, c’è tensione, si scatenano conflitti con troppa facilità. Qualche attività di logoteatroterapia fa proprio al nostro caso!
Chiedo ai bambini di liberare l’aula, ovvero di disporre tutti i tavoli uno a fianco all’altro, lungo le pareti della classe. Quindi il setting è pronto in pochi minuti per un’attività diversa dal solito. Cominciamo con un gioco in cerchio, chiedo loro di presentarsi con il proprio nome, un gesto e un aggettivo che abbia l’iniziale del proprio nome. I bambini devono pertanto ideare, scegliere, integrare parola e gesto in una manciata di secondi. Non dicono un aggettivo a caso, lo scelgono con cura. Qualcuno si prende del tempo per pensarci un po’, a qualcun altro non viene in mente nulla, altri ancora non riescono proprio a trovare un aggettivo e allora c’è subito qualche compagno pronto a suggerire quello più appropriato. Terminato il giro, ripetiamo il tutto una seconda volta. E ora ognuno ha in mente cosa dire e cosa fare, grazie all’aver immagazzinato le informazioni precedenti e aver utilizzato la memoria di lavoro: tutto appare più coinvolgente e i bambini cominciano a divertirsi. Decido, a questo punto, di procedere con un gioco per rinforzare lo spirito di gruppo e allenare la tolleranza alla frustrazione. Giochiamo a Sacco pieno, sacco vuoto. C’è un primo eliminato, sono preoccupata perché è proprio quel bambino che solitamente contesta ogni regola. Penso che lo farà anche ora compromettendo il resto del gioco. Inaspettatamente accetta la propria eliminazione, gli dispiace, ma esce dal gioco con il sorriso. Mi guarda e mi chiede: “Quando finisce lo rifacciamo?”. Non posso che annuire pensando all’incantevole potenza del gioco!
Una volta terminato, chiedo loro di posizionarsi in un punto della classe ed ecco che, nella scelta dello spazio, ritrovo le caratteristiche di ognuno: c’è chi non può fare a meno di scegliere il posto più vicino all’amico del cuore, chi sceglie l’angolo più nascosto della classe, chi si posiziona in direzione opposta rispetto a tutti gli altri. È come se si fossero riappropriati di quel ruolo che gli appartiene e che nel gioco avevano abbandonato. Ne approfitto per chiedergli di muoversi liberamente guidati da un sottofondo musicale. I movimenti che osservo sono così in armonia con la musica e nello stesso tempo così tanto diversi fra loro. Mi chiedo quale sia la storia che stanno immaginando perché ho l’impressione che stiano raccontando qualcosa. Vorrei osservarli ancora per molto tempo, sembrano 23 microcosmi indipendenti l’uno dall’altro che dal caos iniziale stanno trovando un proprio ordine.
Proseguiamo con altre attività fino a quando arriva il momento dello Specchio. Gli chiedo innanzitutto di formare delle coppie e poi gli spiego cosa dovranno fare. Sono io a scegliere i ruoli all’interno della coppia: chi fa il conduttore e chi lo specchio. Anche in questo caso ci lasciamo trasportare da un sottofondo musicale. Questa attività prevede che i bambini si guardino negli occhi per tutto il tempo e questo è motivo di imbarazzo e risatine. Ci sono coppie che non riescono a trattenersi, ridono rumorosamente seppur continuando l’attività. Temo siano elementi di disturbo per tutti gli altri e invece ancora una volta il resto del gruppo riesce a stupirmi. Tutti gli altri bambini svolgono l’attività con un livello di concentrazione altissimo, pur faticando un po' a guardarsi negli occhi fino alla fine. Non importa, i movimenti sono così accurati: ho l’impressione che ogni coppia si stia mettendo in profonda relazione. Non sono le risate di pochi a disturbare il gruppo, ma la concentrazione di alcune coppie a coinvolgere tutti gli altri. Se prima i 23 microcosmi avevano trovato un ordine, ora mi sembra abbiano raggiunto un perfetto equilibrio tra loro. È arrivato il momento dell’ultima attività. Concludiamo così come avevamo iniziato, con un cerchio. Chiedo ai bambini di dire una parola per riassumere l’esperienza appena vissuta: non mi sorprende ascoltare parole o aggettivi come: inaspettata, rilassante, divertente, libertà; poi arriva il turno di D. che dice “costruente”. Continuo il giro, ma quella parola mi risuona in mente e alla fine non posso fare a meno di chiedere a D. di spiegarmela e lui mi dice: “mentre facevamo i giochi abbiamo costruito qualcosa”. Lo ringrazio per questa interpretazione e ci rifletto.
È proprio così, pensandoci bene. Gioco dopo gioco, ognuno di noi, io compresa, ha aggiunto un piccolo tassello per la costruzione del miglior sé.
È un caldo venerdì pomeriggio di maggio, non solo per il sole che batte sulle finestre della nostra classe. Durante la mattinata alcuni episodi hanno condizionato lo stato d’animo dei bambini: sono agitati, c’è tensione, si scatenano conflitti con troppa facilità. Qualche attività di logoteatroterapia fa proprio al nostro caso!
Chiedo ai bambini di liberare l’aula, ovvero di disporre tutti i tavoli uno a fianco all’altro, lungo le pareti della classe. Quindi il setting è pronto in pochi minuti per un’attività diversa dal solito. Cominciamo con un gioco in cerchio, chiedo loro di presentarsi con il proprio nome, un gesto e un aggettivo che abbia l’iniziale del proprio nome. I bambini devono pertanto ideare, scegliere, integrare parola e gesto in una manciata di secondi. Non dicono un aggettivo a caso, lo scelgono con cura. Qualcuno si prende del tempo per pensarci un po’, a qualcun altro non viene in mente nulla, altri ancora non riescono proprio a trovare un aggettivo e allora c’è subito qualche compagno pronto a suggerire quello più appropriato. Terminato il giro, ripetiamo il tutto una seconda volta. E ora ognuno ha in mente cosa dire e cosa fare, grazie all’aver immagazzinato le informazioni precedenti e aver utilizzato la memoria di lavoro: tutto appare più coinvolgente e i bambini cominciano a divertirsi. Decido, a questo punto, di procedere con un gioco per rinforzare lo spirito di gruppo e allenare la tolleranza alla frustrazione. Giochiamo a Sacco pieno, sacco vuoto. C’è un primo eliminato, sono preoccupata perché è proprio quel bambino che solitamente contesta ogni regola. Penso che lo farà anche ora compromettendo il resto del gioco. Inaspettatamente accetta la propria eliminazione, gli dispiace, ma esce dal gioco con il sorriso. Mi guarda e mi chiede: “Quando finisce lo rifacciamo?”. Non posso che annuire pensando all’incantevole potenza del gioco!
Una volta terminato, chiedo loro di posizionarsi in un punto della classe ed ecco che, nella scelta dello spazio, ritrovo le caratteristiche di ognuno: c’è chi non può fare a meno di scegliere il posto più vicino all’amico del cuore, chi sceglie l’angolo più nascosto della classe, chi si posiziona in direzione opposta rispetto a tutti gli altri. È come se si fossero riappropriati di quel ruolo che gli appartiene e che nel gioco avevano abbandonato. Ne approfitto per chiedergli di muoversi liberamente guidati da un sottofondo musicale. I movimenti che osservo sono così in armonia con la musica e nello stesso tempo così tanto diversi fra loro. Mi chiedo quale sia la storia che stanno immaginando perché ho l’impressione che stiano raccontando qualcosa. Vorrei osservarli ancora per molto tempo, sembrano 23 microcosmi indipendenti l’uno dall’altro che dal caos iniziale stanno trovando un proprio ordine.
Proseguiamo con altre attività fino a quando arriva il momento dello Specchio. Gli chiedo innanzitutto di formare delle coppie e poi gli spiego cosa dovranno fare. Sono io a scegliere i ruoli all’interno della coppia: chi fa il conduttore e chi lo specchio. Anche in questo caso ci lasciamo trasportare da un sottofondo musicale. Questa attività prevede che i bambini si guardino negli occhi per tutto il tempo e questo è motivo di imbarazzo e risatine. Ci sono coppie che non riescono a trattenersi, ridono rumorosamente seppur continuando l’attività. Temo siano elementi di disturbo per tutti gli altri e invece ancora una volta il resto del gruppo riesce a stupirmi. Tutti gli altri bambini svolgono l’attività con un livello di concentrazione altissimo, pur faticando un po' a guardarsi negli occhi fino alla fine. Non importa, i movimenti sono così accurati: ho l’impressione che ogni coppia si stia mettendo in profonda relazione. Non sono le risate di pochi a disturbare il gruppo, ma la concentrazione di alcune coppie a coinvolgere tutti gli altri. Se prima i 23 microcosmi avevano trovato un ordine, ora mi sembra abbiano raggiunto un perfetto equilibrio tra loro. È arrivato il momento dell’ultima attività. Concludiamo così come avevamo iniziato, con un cerchio. Chiedo ai bambini di dire una parola per riassumere l’esperienza appena vissuta: non mi sorprende ascoltare parole o aggettivi come: inaspettata, rilassante, divertente, libertà; poi arriva il turno di D. che dice “costruente”. Continuo il giro, ma quella parola mi risuona in mente e alla fine non posso fare a meno di chiedere a D. di spiegarmela e lui mi dice: “mentre facevamo i giochi abbiamo costruito qualcosa”. Lo ringrazio per questa interpretazione e ci rifletto.
È proprio così, pensandoci bene. Gioco dopo gioco, ognuno di noi, io compresa, ha aggiunto un piccolo tassello per la costruzione del miglior sé.
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