Passa ai contenuti principali

Sui genitori

A breve disponibile anche tramite podcast.

Un lunedì pomeriggio, in sala d’attesa. Vedo la mamma di Stefano (nome di fantasia) stanca, demotivata, con gli occhi bassi e spenti. Conosco bene il lutto che l’ha colpita un anno fa e la preoccupazione per quel ragazzo affetto da DSA e borderline cognitivo. Mesi addietro, ho fatto molta fatica a coinvolgere Stefano nel laboratorio di Logoteatroterapia. Il giovane era estremamente inibito, quasi terrorizzato dal gruppo dei pari. E sebbene si trattasse, nel nostro caso, di altri cinque ragazzini allegri e simpatici, la sua prima reazione

Cecilia Moreschi
ogni lunedì era di rintanarsene in un’altra stanza con la propria terapista, dove probabilmente si sentiva al sicuro, non esposto agli sguardi altrui e non sottoposto alle mie richieste. Eppure…
Eppure, pian piano anche le attività di Logoteatroterapia hanno iniziato a far breccia in lui, riuscendo a divertirsi, sorridere e a provarci gusto. Una volta gli chiesi di improvvisare con me una scena tratta da Cappuccetto Rosso, e preso dalla creatività dell’improvvisazione, si dimostrò in grado di produrre un personaggio esilarante, che stupì prima di tutto lui stesso per i tempi comici e le battute adeguate. Ricordo che fu come se avesse tolto una sorta di “freno a mano” e finalmente la sua autovettura fosse libera di scorrazzare dove preferiva.
Vedo Stefano ogni lunedì. E ogni lunedì è come se occorresse ricominciare da zero. Come se dovessi ogni volta ridargli fiducia, ricordargli i suoi talenti, donargli dall’esterno quel briciolo di autostima che proprio non sorge spontanea dentro di lui. In altre parole, a contrastare la depressione, che ogni tanto mi sembra come un’ombra sempre presente alle sue spalle, ansiosa di fare anche di lui una sua vittima.
Nondimeno, un lunedì improvvisamente la mia attenzione si rivolge alla sua mamma. Lui e lei, in sala d’attesa, con l’atteggiamento corporeo che sembra fotocopiato l’uno dall’altra. Come se anche lei facesse fatica a credere che nel figlio, che può farsi degli amici, che potrà condurre una vita soddisfacente, che sarà in grado di trovare la sua strada. Ed ecco, quindi, che avverto l’urgenza di dedicarle un paio di minuti. Le racconto la bravura di Stefano la settimana precedente, nella quale ha addirittura interpretato due personaggi perché un amico era assente e lo ha sostituito. Le rimando quanto il ragazzo rida in nostra compagnia. Che si sforza, è vero, ma nulla si ottiene senza impegno, senza la continua ricerca di superare i limiti, spesso auto imposti.
Pian piano le si accende lo sguardo. Vedo tornare la speranza. Inizia a immaginare Stefano in una veste differente dall’apatia alla quale è tanto abituata. Inizia a sognare di nuovo. E saluta il ragazzo con un gran sorriso, rimandandogli finalmente fiducia insieme alle parole “Vai a divertirti!”, enormemente diverse dalle solite “Fai il bravo”, “Ascolta le terapiste”, “Fa’ attenzione” e così via.
Vai a divertirti. Quanta libertà in queste tre semplici parole.

Commenti