Passa ai contenuti principali

Il gioco simbolico

A breve disponibile anche tramite podcast.

Innumerevoli studi sono concordi nell’intendere il gioco simbolico come l’utilizzo di oggetti o simboli per rappresentare altro, e che questa tipologia di gioco sia di fondamentale importanza per lo sviluppo cognitivo, la flessibilità e la creatività. Gli studi del celeberrimo psicologo Piaget hanno portato alla nostra conoscenza il fatto che il gioco simbolico compare tra i due e i sette anni: in questo arco di tempo il/la bambino/a riesce ad affinare la propria capacità di astrazione e di immaginazione di oggetti, situazioni e persone che non sono presenti.
Ecco che ci viene in aiuto il laboratorio di logoteatroterapia, il quale ha tra i suoi scopi

Cecilia Moreschi
l’approfondimento e anche il consolidamento di tale competenza in tutti quei bambini e ragazzi che ancora non l’hanno armoniosamente sviluppata.
Riccardo (nome di fantasia) è un bambino di 9 anni affetto dal Disturbo dello Spettro Autistico. Sempre allegro e simpatico, è spesso fuori contesto, pone la sua attenzione su elementi che lo distraggono dall’attività, fatica a comprendere le frasi appena più lunghe del consueto soggetto/verbo/oggetto. Ma soprattutto, il disturbo che lo affligge fa sì che il bambino non riesca a sganciarsi dal concreto e continui a vedere solo una penna laddove io la usi per farne un termometro e improvvisi una piccola scena in cui ho la febbre.
Le settimane di lavoro passano velocemente. I giochi, le attività del laboratorio lo coinvolgono pienamente, tanto da aumentare i tempi di attenzione e riuscire a essere maggiormente nel “qui e ora” del teatro. Ma il gioco simbolico continua a essere il suo tallone d’Achille.
Prepariamo la scena dello spettacolo finale in cui Riccardo interpreta Spugna, l’assistente di Capitan Uncino. Ho volutamente inserito cinque oggetti differenti in questa scena, che il nostro deve di volta in volta prendere dalla quinta e portare sul palco. Nelle prove ancora non abbiamo gli oggetti reali che ci serviranno e gli altri giovani attori non hanno alcuna difficoltà a prendere elementi a caso presenti nella stanza e fingere che siano esattamente quel che ci serve. Ma Riccardo continua ad affermare che quella è la mia giacca e non la coperta; che la bottiglia non è la sveglia e così via. Tutti noi, bambini e adulti, di settimana in settimana gli chiediamo di provare a fare finta, gli ricordiamo che nemmeno lui è davvero Spugna e che questo è il teatro. Riccardo esegue, ma si comprende benissimo che non è affatto convinto. Finché un giorno, il miracolo avviene.
Siamo nel bel mezzo delle prove. Nel preparare gli oggetti, mi era sfuggita la presenza di un cuscino. Arriva il momento in cui Riccardo lo dovrebbe prendere e io interrompo la recitazione dicendo “Scusate, avevo dimenticato il cuscino. Come possiamo far…” non faccio in tempo a terminare la frase che Riccardo finalmente si attiva. Prende la mia agenda abbandonata sul tavolo accanto a sé e porgendomela afferma a gran voce “Eccolo, il cuscino!”. Per un attimo restiamo tutti storditi, tanta è la sorpresa di quel che ha appena fatto. Poi parte spontaneamente un sincero applauso e tanti complimenti a Riccardo, che finalmente è riuscito a vedere al di là della concretezza dell’oggetto accanto a lui.
Ecco, a volte occorre solo aver pazienza e concedere la giusta porzione di tempo a ciascuno. E soprattutto avere fede. I miracoli avvengono, le competenze si sviluppano, le abilità si rinforzano. In tutti.

Commenti