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La ricerca della felicità

A breve disponibile anche tramite podcast.

“Lo facciamo di nuovo lo spettacolo?” “No, tesoro mio. Ne faremo un altro il prossimo anno” rispondo io. “Davvero? E quale? Quale faremo? E quando?”
A parlare è Federico (nome di fantasia) bambino di 6 anni, all’indomani dello spettacolo Peter Pan, conclusione per quest’anno del laboratorio di Logoteatroterapia. Lo spettacolo ha visto la partecipazione di 34 bambini dai 5 agli 11 anni, suddivisi in piccoli gruppi, che scena dopo scena hanno raccontato l’incredibile storia del bambino che non voleva crescere e le sue avventure nell’Isola che non c’è.
Le parole di Federico ancora una volta mi sorprendono. Il piccolo era affetto da alcune problematiche linguistiche che sta man mano brillantemente superando, e da una importante componente oppositiva. Nel corso dei vari mesi di laboratorio, per prima cosa ho cercato di costruire con lui un rapporto di fiducia, una relazione positiva, allegra e leggera, un momento nel quale il nostro si sentisse a suo agio e riuscisse finalmente ad abbandonare la postura da “imbronciato perenne” con braccia conserte, sguardo sul pavimento e sopracciglia aggrottate. Pian piano il bambino ha iniziato a rilassarsi, a fidarsi di me, a divertirsi facendo i giochi e gli esercizi proposti. Fino ad arrivare alla costruzione della scena che vedeva lui e i suoi compagni arrivare volando all’Isola che non c’è.
Il giorno delle prove generali e dello spettacolo è un momento di grande entusiasmo, condito da un pizzico di caos, nel quale Federico vede tanti altri bambini come lui succedersi sul palco e recitare. Tutti sono bravissimi, anche se qua e là ci sono piccoli errori, ma non importa: se ne ride e si ricomincia da capo. E poi i costumi, il trucco, le luci, gli oggetti, il grande coccodrillo di cartone… insomma, è per tutti una vera e propria festa, giusto coronamento di settimane di fatica, impegno, esercizi di memoria e di prosodia, gestione dell’imprevisto.
Osservo Federico e vedo i suoi occhi accendersi di sorpresa ed entusiasmo di fronte a tutto questo. Mi aiuta nella realizzazione di una scena un po’ complicata, consola un bambino più grande preso da un momento di timidezza, saluta tutti, sorride. Quanto è lontana quella parte di sé che ho conosciuto nello scorso settembre. Quando è il suo turno sale sul palco con grande sicurezza, come se non avesse mai fatto altro in vita sua. L’applauso scrosciante e le felicitazioni del pubblico sono la ciliegina sulla torta di questo suo momento di grande felicità. E il giorno dopo mi comunica che non vede l’ora di rivivere l’esperienza.
In questi quasi trent’anni di lavoro con il Teatro Ragazzi e la Logoteatroterapia, ho veduto accadere tutto questo decine e decine di volte, tanto da arrivare a un certo punto a chiedermi quali siano i nostri meccanismi interni che lo rendono possibile. Studiando vari neuroscienziati, psicologi e psichiatri (tra cui Antonio Damasio, Daniel J. Siegel, Giacomo Rizzolatti, Howard Gardner, Daniel Goleman giusto per citarne alcuni) ho messo a fuoco, tra le altre cose, la ricerca continua del piacere da parte del nostro cervello e, di conseguenza, delle esperienze positive che hanno suscitato in noi momenti di grande felicità. Ancor meglio (come afferma Daniel J. Siegel) se tali esperienze vengono condivise con altri, se vengono vissute con il gruppo dei pari. La nostra mente continuerà a ricercare e a cibarsi di questi momenti così estremamente positivi.
La ricerca della felicità, del benessere, nella condivisione con gli altri e nella costruzione di qualcosa di grande, anche a costo di momenti faticosi e impegnativi. Anche questo è il teatro. Una cosa grande, in grado di rendere felici tutti noi.

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