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Avverto sempre più quanto ormai viviamo in una società formata in larga parte da persone che mostrano in modo generalizzato chiari sintomi del Disturbo da Deficit di Attenzione e/o Iperattività, chiamato comunemente ADHD. Mi riferisco alla grande quantità di adulti che sostengono una conversazione guardando in continuazione lo smartphone; oppure distraendosi e smettendo di ascoltare l’interlocutore a ogni minima afferenza esterna che giunga ai loro sensi; alle conversazioni in cui si salta da un tema all’altro senza approfondirne nessuno, senza ascoltarsi veramente, nelle quali si delinea evidente solo l’estremo bisogno di parlare, parlare e ancora parlare, giammai comunicare. E quante volte il parlatore seriale non decodifica affatto le informazioni non verbali del malcapitato di turno, che dopo un po’ di questa insalata di parole, vorrebbe giustamente riuscire a sganciarsi e andarsene per la propria strada.
Non sono nuove le scoperte di eminenti neuroscienziati sulla neuroplasticità del nostro cervello, che continua a modificarsi anche in età adulta. Pertanto, non è difficile intuire quanto lo smodato uso dei dispositivi elettronici, traboccanti di stimoli visivi e uditivi che bombardano l’attenzione di tutti noi, abbia in qualche modo modificato i tempi attentivi, il comportamento verbale, le modalità di entrare in relazione. E tanto altro ancora.
Non a caso, troviamo tra le mura dei nostri istituti scolastici un numero sempre più alto di bambini e ragazzi che esprimono tale disagio attentivo e incapacità motoria a fermare o quantomeno ridurre il perenne movimento, del quale spesso non hanno neppure consapevolezza.
Ecco perché il laboratorio teatrale è così importante. Ed ecco perché, soprattutto nella logoteatroterapia, viene dedicata una larga porzione di tempo alle attività con gli occhi chiusi. Per rientrare dentro se stessi, almeno per qualche minuto. Per sentire il respiro, ascoltare il cuore che batte, percepire la tensione dei propri muscoli e permettere a questi ultimi di rilassarsi. Per accogliere un contatto tattile dell’operatore o degli amici, che sia delicato e al tempo stesso piacevole. Per ascoltare il silenzio, percepire l’ampiezza di uno spazio vuoto e finalmente provare il desiderio di riempirlo. Non subire, come sempre, la pienezza di stimoli uditivi e visivi decisi da altri, nei quali a ben guardare nessuno di noi sceglie alcunché.
Le attività da fare a occhi chiusi, sia in forma statica che dinamica, sono molteplici e ciascun operatore o terapeuta può scegliere quelle che ritiene più adatte al proprio uditorio. Ma il miracolo che avviene subito dopo è che ciascun partecipante al laboratorio, al momento di riaprire gli occhi, è come se avesse voltato pagina e stesse per iniziare una nuova storia. Vedo sorrisi, occhi accesi di reale interesse, gambe finalmente a riposo, schiene un poco più dritte. L’armoniosa relazione con l’altro può iniziare e le conversazioni che fuoriescono spontanee sono più chiare e maggiormente organizzate anche grazie al reale, profondo ascolto che finalmente si inizia a creare.
Ecco, dico sempre a questo punto ai miei ragazzi. Adesso possiamo iniziare.
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