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Innumerevoli sono gli studi che pongono in relazione il Disturbo da Deficit dell’Attenzione e/o Iperattività, chiamato comunemente con l’acronimo inglese ADHD e la mancanza quasi totale di empatia.
“Gli individui affetti da ADHD tendono ad agire in modo impulsivo, si annoiano rapidamente e non riescono a concentrarsi a lungo su cose che non gli interessano. Uno degli effetti collaterali della combinazione di tali sintomi è proprio la mancanza di empatia. Inoltre i comportamenti relativi a tale disturbo, per alcuni aspetti, rispecchiano i tratti associati a individui narcisisti” così leggiamo in un interessante articolo del 2018 pubblicato su Mondo ADHD Blog che a sua volta si rifà a uno studio internazionale tra il suddetto disturbo e l’empatia.
Mi piace pensare di poter intervenire almeno in parte su tale mancanza, stimolando i bambini e i ragazzi che partecipano al percorso di Logoteatroterapia allo sviluppo di questa abilità, fondamentale per una serena e armoniosa convivenza sociale.
Metto a fuoco la mancanza di empatia proprio alcuni mesi fa, nel quale tutti i partecipanti alla seduta di laboratorio stavano condividendo il proprio stato d’animo. Giulio (nome di fantasia come i seguenti) si stanca ben presto, e dopo aver condiviso come si sente vorrebbe subito iniziare a giocare con il teatro. Gli chiedo quindi qualche minuto in più di attenzione per ascoltare tutti, visto che ciascuno è stato in silenzio e molto attento mentre parlava lui. La settimana successiva propongo un esercizio di propriocezione nel quale il nostro si impegna moltissimo e riesce splendidamente nel compito, per poi ridacchiare e agitarsi nel momento in cui l’identica attività viene svolta da Niccolò (altro nome di fantasia). Gli rimando la necessità di considerare gli altri importanti alla stregua di se stesso “Mi aspetto da te esattamente la stessa cura e attenzione che il tuo compagno aveva mentre eri tu a svolgere l’esercizio”. Il bambino comprende e tenta di autoregolarsi. Va decisamente meglio. Ma mi rendo conto che occorre fare qualcosa di più, qualcosa di maggiormente incisivo. Ecco quindi che la settimana successiva lavoro esclusivamente sulla decodifica del linguaggio del corpo, chiamato anche linguaggio non verbale. Assumo una determinata postura e invito tutti i partecipanti a tentare di comprendere cosa significa, cosa sto esprimendo. So bene che in questo momento i neuroni specchio di ciascuno sono all’opera, e che è proprio l’azione di tali neuroni (se sufficientemente sviluppata e integrata con le altre abilità) a costituire la base dell’empatia, ovvero della comprensione sia emotiva che corporea dell’altro in quanto si “rispecchia” nella mia mente. Ecco che i ragazzi imitano la mia postura, provano a darle un nome, immaginano cosa potrebbe essere accaduto… proseguo con altre posture tanto da creare una sorta di “vocabolario emotivo a tre dimensioni” nel quale a ogni stato d’animo si associa la comprensione e la corretta denominazione. I ragazzi seguono, comprendono, sono affascinati e desiderosi di sperimentare anch’essi tutto ciò ovvero di tradurre in azione motoria quel che vedono e sul quale riflettono. E Giulio? È il primo a rispondere e a ideare battute coerenti con le posture che assumo via via.
Bene, non mi illudo di risolvere tutto il problema dell’empatia con alcune sedute di Logoteatroterapia. Ma percepire l’altro come importante quanto me e decodificare gli atteggiamenti corporei mi sembrano già un gran risultato.
Continueremo. Per offrire ai nostri splendidi ragazzi tutto quel che è in nostro potere affinché, da adulti, siano centrati e responsabili, rispettosi di se stessi e degli altri accanto a sé.
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