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Come insegnare autocontrollo e concentrazione a teatro

Disponibile a breve anche tramite podcast.

Ogni spettacolo realizzato con l’età evolutiva è un’imperdibile occasione sia dal punto di vista educativo e della crescita dei bambini ragazzi che come momento terapeutico per allenare specifiche abilità. A volte, condizioni avverse che obbligano il/la regista o il/la teatroterapista a determinate scelte sull’impianto scenico, si rivelano in seguito preziose opportunità per mettere a fuoco un aspetto o far emergere una specifica fragilità e poter operare su di essi.
Alcuni anni or sono, quando ancora la pandemia obbligava tutti noi a restrizioni e accorgimenti, conduco un laboratorio di Logoteatroterapia con adolescenti assieme alla mia preziosa collaboratrice Paola Gallassi, logopedista.
Lo spettacolo finale li vede tutti in scena contemporaneamente seduti a semicerchio nel fondo della sala che ci ospita. Uno o due alla volta si alzano dalle proprie sedie e vengono al centro a narrare o recitare il proprio pezzo, mentre gli altri devono restare seduti ad aspettare il proprio turno. Emerge qui evidentissima la difficoltà di quasi tutti a gestire serenamente questo tempo di attesa. Infatti l’emozione dello spettacolo che si avvicina a grandi passi e la conseguente ansia generata, si aggiunge alle difficoltà attentive, di autocontrollo e iperattività (motoria e verbale) presenti nei nostri giovani attori, rendendo molto difficoltoso per loro riuscire a mantenere alta la concentrazione e garantire un’effettiva partecipazione alle scene altrui inibendo al contempo movimenti, commenti e risatine nervose.
È pertanto presto evidente la necessità di porre maggiore attenzione su questo aspetto anche a costo di trascurare il perfezionamento della recitazione di chi è man mano coinvolto in prima persona. Riprendo quindi gli esercizi di tensione/pausa/ rilassamento. Propongo nuove attività a occhi chiusi per la propriocezione. Tramite il gioco dello “specchio” tento di rimandare i comportamenti disfunzionali, affinché i ragazzi prendano coscienza di quel che accade mentre lo spettacolo si dipana, in una visione unitaria del gruppo e della performance. Gallassi propone ulteriori attività e dialoga spesso con tutti loro, denominando pausa attiva l’autocontrollo dei loro corpi in ascolto, e sappiamo bene quanto sia più facile appropriarsi di un concetto quando gli abbiamo dato un nome al quale tutti ci riferiamo. La pausa attiva diviene quindi l’etichetta con la quale ciascuno sa di doversi controllare, di poter allungare i propri tempi attentivi, di prestare ascolto anche se conosce le scene degli altri a menadito, per una perfetta riuscita della performance.
Poche settimane dopo lo spettacolo va in scena ed è un grande successo.
Riflettendoci nei mesi seguenti, mi sono ben presto resa conto che lo spazio a nostra disposizione ci aveva costretto alla presenza contemporanea in scena dei nostri ragazzi, ma che questo aspetto si era rivelato una risorsa. Senza di esso infatti non avrei mai messo a fuoco e lavorato sulla pausa attiva, preziosissimo elemento anche negli anni successivi.

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