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Un pomeriggio conduco il laboratorio di logoteatroterapia con alcuni preadolescenti che seguono il percorso già da tempo. Sono quindi perfettamente in grado di cimentarsi con attività appena più complesse del solito. Dopo un riscaldamento corporale atto a sciogliere qualsivoglia tensione muscolare e soprattutto a far prendere coscienza che il corpo parla e comunica anche in totale assenza di parole, propongo loro un esercizio di integrazione tra linguaggio verbale e non verbale. Inizio per prima entrando in scena e comunicando con il corpo e il viso un grande nervosismo. Guardo l’orologio più volte e non smetto di agitarmi. Improvvisamente mi fermo in una pausa statica ricca di tensione che continua a comunicare ciò che provo. Giulio (nome di fantasia come i seguenti) impiega giusto una manciata di secondi per elaborare ed esprimere a voce alta la battuta che potrei pronunciare in quel preciso istante ovvero “Oh, mamma mia com’è tardi. Non ce la farò mai”. Riprendo la scena dall’inizio e integro la battuta al messaggio corporeo, chiedendo ai partecipanti se a loro parere il tutto funziona, se è coerente. Tutti rispondono di sì e non vedono l’ora di prendere il mio posto e inventare una scena, seguita da una battuta.
I vari pezzi si susseguono finché arriva il turno di Salvo. Il ragazzo ha da sempre un’energia spumeggiante che a volte rischia di farlo andare fuori contesto o di non fargli porre la giusta attenzione agli elementi importanti, in un perpetuo interesse di tutto quel che è sotto i suoi occhi, a portata delle sue orecchie e così via. Salvo ha dalla sua anche una fantasia straordinaria che anche stavolta non delude nessuno: la scena che realizza è efficacissima, ricca di particolari ma assolutamente comprensibile da parte del pubblico. Infatti tutti lo vediamo chiaramente in casa accorgersi di qualcuno che bussa alla porta, aprire, salutare, pagare e afferrare un pacco che lo riempie di gioia. Eppure Angela, che dovrebbe ideare la battuta verbale corrispondente, non afferra immediatamente i vari concetti. Salvo si sforza davvero tanto affinché la compagna riesca a seguirlo e (proprio lui che conduce la sua vita a un ritmo velocissimo), rallenta e ripete tutto da capo con grande calma. Angela però ancora non è sicura. Salvo contiene la frustrazione, vedo benissimo che starebbe per dirle che è facilissimo, ma si controlla e accetta di ripetere ancora. Finalmente gli occhi di Angela si spalancano e la sua bocca sorride mentre sta per pronunciare “È arrivata la pizza finalmente! Che fame!”. Salvo ci resta male, mi guarda. Tempo fa avrebbe espresso a voce alta il disappunto di non esser stato compreso fino in fondo ma ormai è diventato un ragazzo più centrato, sicuro di sé e perfettamente in grado di modificare le proprie performance nel rapporto con gli altri. Pertanto quello sguardo sconsolato dura solo un attimo. Subito il suo volto si rasserena, ricomincia e non solo integra la battuta di Angela ma modifica piccoli dettagli di tutta la scena per adeguarla all’argomento “pizza” appena espresso dalla ragazza.
Un grande applauso sancisce la fine del gioco.
Salvo mi viene vicino e in un orecchio lo rassicuro che avevo capito benissimo le sue intenzioni primarie ma che gli fa ancora più onore l’aver accettato i cambiamenti, averli inseriti nella sua scena anche se ora gli è sembrata meno bella di prima. È felice del fatto che almeno io avessi compreso e mi lascia ben presto per andare a chiacchierare con gli altri.
“Che grandi passi in avanti ha compiuto in questi anni” penso tra me e me “la tolleranza alla frustrazione, la modifica del comportamento, l’accettazione delle idee di un altro, l’inibizione all’esprimere il disappunto a voce alta. Tutti obiettivi che sembravano altissime montagne solo due anni fa. Invece ci ha dimostrato ancora una volta che tutto è possibile. Grazie Salvo.”
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