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Ridere è una medicina universale

Disponibile a breve anche tramite podcast.

Sara, la chiameremo così, frequenta la quinta classe della scuola primaria ed è una bellissima bambina. I lunghi capelli biondi incorniciano un viso da bambola, nel quale spiccano i grandi occhi nocciola. Affetta da un disturbo sull’apprendimento, sembrerebbe poter condurre una vita colma di soddisfazioni, una volta apprese le strategie per gestire e superare le difficoltà nello studio. Eppure, è evidente che ci sia qualcos’altro. Vedo il suo corpo in uno stato di tensione perenne; spesso, quando le si fa una domanda alla quale non sa proprio come rispondere, le gambe si accavallano e le braccia si stringono a coprire il busto, la schiena si inarca e la testa si abbassa, mentre Sara fissa lo sguardo sul pavimento. Deve trascorrere un considerevole lasso di tempo finché la bambina esca dal bozzolo che i suoi arti hanno costruito come per proteggerla.
Inizio a lavorare con lei insieme ad altri preadolescenti della stessa età nel laboratorio di Logoteatroterapia, quando a un certo punto un pensiero attraversa prepotente la mia mente: Sara ha bisogno di ridere. 
Innumerevoli studi, grazie al medico Patch Adams e non solo, rivelano la potenza fisico-chimica della risata e dei meccanismi virtuosi che innesca nel nostro organismo. Anche Daniel Goleman nel volume L’intelligenza emotiva descrive il ridere come un’attività benefica che libera la mente facendoci intravedere strade e soluzioni a problemi, che prima non eravamo assolutamente in grado di immaginare. Ma quello che a me interessa è che Sara lasci andare la tensione. E quindi, insieme alle attività di propriocezione atte a percepire la differenza tra tensione e rilassamento, mi impegno a farla ridere. Tanto. Con lei ridiamo tutti, i compagni che partecipano al laboratorio e gli adulti presenti nella stanza. E il miracolo accade. 
Sara partecipa con sempre maggiore convinzione agli esercizi che le propongo. Non si chiude più, ha abbandonato quegli atteggiamenti di oppositività e elusione del compito che apparivano tanto spesso, mesi fa. Sa che, a fronte di qualsiasi nuova richiesta che all’inizio la terrorizza, ci sono io accanto a lei, anzi c’è tutto un gruppo pronto a sorreggerla e sostenerla, in un ampliamento della “zona di sviluppo prossimale” illustrata da Vygotskij, che la fa sentire sicura. Che le fa percepire che si può anche sbagliare e ricominciare da capo. Che lo facciamo tutti insieme. E, soprattutto, che possiamo persino riderci su.

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