Uno dei principali intenti della Logoteatroterapia è l’utilizzo delle tecniche teatrali per far vivere ai partecipanti forti esperienze funzionali alla relazione, agli apprendimenti, alle autonomie, che possano poi essere generalizzate nella vita di tutti i giorni. Ecco un esempio.
Un pomeriggio lavoro con un gruppo di adulti affetti da disabilità intellettiva, in comorbilità con altre patologie. Li conosco da tanto tempo e so bene quanto sia difficoltoso per loro ascoltare fino in fondo l’operatore (o il genitore, una sorella, un amico, perfino un film in tv), comprendere il messaggio, immagazzinarlo nella memoria a breve termine e (laddove ci sia un compito da eseguire) procedere all’esecuzione un attimo dopo aver ascoltato il tutto. Qualcuno si attiva già all’inizio della frase o non si attiva affatto, qualcun altro non mantiene la concentrazione fino alla fine, altri ancora focalizzano l’attenzione solo su un elemento slegandolo dal contesto, e così via.
Propongo quindi ai miei attori una piccola sequenza di azioni da recitare nello spazio scenico. Ciascuno dovrà ascoltare, mantenere nella memoria a breve termine, stimolare la memoria di lavoro per tradurre in azione scenica (ovvero corporea e spaziale) le mie parole. La regola è che non potranno assolutamente aiutarsi con il verbale, tutta la loro recitazione sarà non verbale. Cominciamo dunque.
A Elisabetta (nome di fantasia) già pronta a recitare, dico: “Stai dormendo. Improvvisamente suona la sveglia. Non hai alcuna voglia di alzarti, ma purtroppo sei costretta. Lentamente ti trascini fino alla cucina per farti un caffè.”
Notiamo insieme che questa semplice azione (composta di una sequenza di azioni) racchiude alcune parti implicite: infatti non c’è bisogno che io dica che Elisabetta si desti al suono della sveglia, è un’azione ovvia e dunque implicita. Inoltre, è assolutamente necessario l’aspetto espressivo dell’emotività: il pubblico deve “vedere” attraverso la sua recitazione che non ha alcuna voglia di alzarsi, come indica il compito scenico che le ho affidato.
Elisabetta ripete tra sé e sé la sequenza per memorizzarla. Inizia a recitare, perde qualche elemento. Ma non c’è alcun problema, ricominciamo e cerchiamo di non dimenticare nulla. Alla terza esecuzione riesce perfettamente, e il grande applauso dei suoi compagni le fa esplodere un gran sorriso e gridolini di gioia.
La settimana successiva continuo alzando di poco l’asticella della richiesta. Inoltre chiedo a ciascuno di dare un titolo alla scena fatta dal compagno, ovvero racchiudere in una sola azione generale la sequenza di piccole azioni recitate. Per quanto riguarda l’esempio precedente, il titolo potrà essere “Alzarsi al mattino”.
Qualche settimana dopo desidero verificare se questo lavoro (svolto una volta a settimana nell’arco di una ventina di giorni circa) ha un’efficacia anche nella vita reale. Con lo stesso gruppo ci troviamo seduti in cerchio per i consueti saluti di inizio laboratorio, dopo i quali affermo che stiamo per incominciare. Pertanto ciascuno “dovrà alzarsi dalla sedia, riporre la stessa contro il muro, tornare al centro e disporsi in un largo cerchio insieme ai compagni”. I miei giovani attori ascoltano fino in fondo, memorizzano, eseguono senza fretta. Assolutamente perfetti.
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