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Il teatro come gioco

Disponibile a breve anche tramite podcast.

Bentrovati, dopo la pausa estiva che spero sia stata in grado di ritemprare tutti noi. È assolutamente indispensabile fermarsi, per dare alla mente e al corpo il giusto tempo di elaborazione di quel che abbiamo vissuto e permettere di trovare spazio per far fiorire idee e spunti nuovi.
I bambini e i ragazzi non fanno eccezione. Li ritrovo dopo oltre un mese, con occhi accesi e la voglia di raccontare i posti che hanno visitato, il mare dove hanno nuotato, la montagna dove hanno camminato. Ma subito dopo mi chiedono di ricominciare a giocare al teatro. C’è qualcuno di nuovo, che resta un po’ in disparte perché non ha ben capito cosa aspettarsi, oppure ha direttamente deciso che fare teatro non è nelle sue corde ed esprime tale assunto con un atteggiamento corporeo di grande chiusura e sospetto. In questi casi chiedo sempre l’aiuto dei ragazzi stessi. Domando a tutti cosa sia il teatro, cosa significhi fare teatro. C’è chi risponde che il teatro è il palco, chi la recitazione, qualcun altro che è essere un personaggio, altri ancora che si tratta di imparare a memoria la parte. È tutto giustissimo, rispondo io, ma fare teatro è anche qualcosa di ancor più semplice. Ha molto a che fare con il gioco, con il divertimento, con il fare finta, ovvero la magia. E quindi procedo sempre con il semplicissimo gioco delle trasformazioni dell’oggetto, nel quale prendo una penna o un libro e li uso come fossero qualcos’altro, senza usare alcuna parola. I partecipanti si divertono subito dinanzi alla magia, i ragazzi più grandi si interessano a indovinare di cosa si tratti. Di solito è un gioco che piace a tutti e coinvolge; disarmante nella sua semplicità, è davvero accessibile a chiunque.
Uso la penna come fosse un termometro. Ecco che i bambini esclamano a gran voce “Hai la febbre!” oppure “Stai male!” dimenticando che la richiesta era indovinare cosa fosse l’oggetto ovvero un termometro. Ma gli studi di Pensiero e linguaggio di Vygotskji mi hanno confermato ciò che già intuivo: il bambino spesso si esprime per predicati e non è ancora così agganciato al significato specifico del vocabolo. Pertanto affermare che ho la febbre o che la penna è un termometro è praticamente la stessa cosa. Sta a noi fare chiarezza, tanto da far loro conquistare consapevolezza e quindi padronanza della lingua italiana, citando ancora Vygotskji. Sempre senza parlare, restringo il campo visivo e finalmente qualcuno pronuncia la parola termometro. Un grande applauso sancisce la fine della piccola drammatizzazione e spiana la strada all’insorgere di nuove idee.
Ecco che un gioco tanto semplice, diretto e praticabile, racchiude già in sé una miriade di abilità da conquistare. Per chi usa la penna è pertanto necessario avere chiara l’idea dell’oggetto dentro di noi e traslarla sulla penna fuori di noi; replicare la forma e le dimensioni, accedendo nell’immaginazione solo a oggetti che le rispettino; riuscire a usare le mani in maniera più comunicativa possibile; inibire il linguaggio, utilizzando solo il corpo. I bambini che ricoprono invece la funzione di spettatori attivi e devono indovinare l’oggetto si trovano ad allenare la comprensione del messaggio non verbale; la scelta di quali vocaboli utilizzare per esprimere tale comprensione; la differenziazione tra oggetto e azione ovvero verbo; il rispetto del turno e quindi il concedere la possibilità anche a un altro di indovinare persino se quest’ultimo impiega più tempo.
Ecco, questo è già teatro. Ma non solo: è mettersi in gioco, uscire fuori da noi stessi, offrire qualcosa agli altri e permettere loro di offrire qualcosa a noi.
È già gruppo, è la relazione che inizia a costruirsi.

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