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Teatro e ansia sociale - Quando l'ansia è utile

Disponibile a breve anche tramite podcast.

Alessandro, nome di fantasia, è un ragazzo di sedici anni che frequenta il laboratorio di logoteatroterapia da quando ne aveva dieci. Di origine straniera, era affetto da piccolino da un ritardo di linguaggio, poi evoluto in un disturbo sull’apprendimento. Per numerosi anni è stato sostenuto dalla terapia logopedica. Ora frequenta le scuole superiori, riesce finalmente ad avere degli amici e si muove con grande autonomia in una grande e caotica città. Permane una piccola difficoltà nell’elaborazione delle frasi, soprattutto quando il nostro si trovi a formulare o spiegare un concetto complesso che necessita di proposizione principale e varie subordinate. È comunque assolutamente in grado di sostenere una conversazione su qualsivoglia argomento e anche di fare battute ironiche all’occorrenza. Come molti adolescenti a volte mostra un atteggiamento di sufficienza verso il mondo che lo circonda, altre volte tende a rintanarsi nella propria zona di comfort, ma nulla di particolarmente preoccupante.
Eppure, alla prima messinscena del nostro spettacolo, non riesce a memorizzare le tre battute finali del suo personaggio, tanto che devo sostenerlo io stessa suggerendogli l’incipit di ciascuna di esse. Rivedendolo una settimana dopo, alla mia domanda sulle emozioni provate prima dello spettacolo, afferma di non provare assolutamente ansia, tanto ormai di spettacoli ne ha recitati parecchi e si sente sicuro di sé e a suo agio sul palcoscenico. Quando gli ricordo l’accaduto, ovvero che ho dovuto aiutarlo in quelle battute, mi fa capire di non esserne affatto preoccupato.
Se da una parte tale sicurezza e fiducia in se stesso mi rende felice in quanto la bassissima autostima era uno dei problemi di Alessandro, l’accaduto mi porta inevitabilmente a riflettere. Il ragazzo sa bene che io sono pronta ad aiutarlo in qualsiasi momento, ma afferma di non provare neppure un pizzico di ansia al pensiero di esibirsi di fronte al pubblico. Così, mi domando: questi due elementi non avranno forse minato il suo darsi da fare nel superare i propri limiti mnemonici e incrementare le proprie competenze pur di non fare brutta figura sul palco? Come esaurientemente spiegato dalla neuroscienziata Michela Matteoli nel suo volume Il talento del cervello una piccola porzione di ansia è funzionale all’essere umano in quanto lo spinge a dare il meglio di sé per scovare risorse che magari non credeva di possedere. Inoltre, a volte, l’eccesso di aiuto e sostegno da parte di noi adulti che ci prendiamo cura dei ragazzi forse non è effettivamente, alla lunga, il loro bene.
Però quale non è la mia sorpresa quando Alessandro, la settimana successiva, arriva alle prove e recita le tre famose battute senza un attimo di esitazione. Probabilmente anche solo l’averne parlato lo ha spinto a mettere a fuoco la situazione e lavorarci su. “Bravo Alessandro”, gli dico, con una punta d’orgoglio. “Ora davvero non hai più bisogno di me”.

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