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Teatro e autismo una storia di successo

Disponibile a breve anche tramite podcast.

Marco, nome di fantasia, è un bambino di dieci anni affetto dal Disturbo dello Spettro Autistico. Molto legato al concreto, a ciò che vede e sente, nel suo percorso di Logoteatroterapia di qualche tempo fa ha spesso dimostrato difficoltà a immaginare e a fare finta, a stare nel qui e ora dell’arte scenica senza farsi distrarre da inferenze sensoriali o associazioni mentali non pertinenti.
Lo rivedo più di un anno dopo. Resto immediatamente colpita da una lunga serie di competenze sulle quali avevamo insieme lavorato non senza molta fatica, mescolata alle risate e alla leggerezza sempre presenti nel laboratorio. Ma ora Marco non solo mostra di averle perfettamente acquisite e stabilizzate nella memoria corporea, spaziale e cinestetica; si inserisce alla perfezione e con grande coerenza nella storia che gli ho illustrato una manciata di secondi prima, in cui deve sostituire un ragazzo assente. Entra in scena con enorme sicurezza e si rivolge al pubblico. Osserva gli altri attori e ne imita le movenza, come a carpire le informazioni necessarie per proseguire la recitazione. Mantiene con me il contatto oculare e non perde mai la concentrazione per tutta la durata della prova. Mima il possesso e l’uso di oggetti inesistenti con il solo ausilio di mani e braccia. Aggancia immediatamente il mio suggerimento gestuale e lo trasforma in battuta verbale, senza sovrapporsi alle parole dell’amico accanto come avrebbe fatto un anno fa o, ancor peggio, bloccarsi senza sapere cosa dire. Si inserisce e rispetta i tempi e il ritmo scenico come non avesse mai fatto altro in vita sua. Si diverte nella scena recitata che in effetti è molto comica, senza lasciarsi sopraffare dall’emozione bensì controllandola e lasciandola agire a suo favore, per essere ancora più abile e funzionale.
Al termine della nostra oretta insieme io e le altre operatrici presenti ci congratuliamo enormemente con lui. Marco appare stupito di tutti complimenti che riceve, e il suo sguardo sembra quasi rispondere di non aver fatto nulla di eccezionale. È felice dei complimenti, si è divertito, tutto qua. Non ha consapevolezza di aver raggiunto grandi risultati, non ricorda la fatica e gli insuccessi di tanti mesi or sono. Meglio così, dico fra me e me. L’importante è che ormai questi apprendimenti siano stabili, in modo da aiutarlo in tutte le situazioni quotidiane che richiederanno prestazioni similari. In quanto a me, ancora una volta mi ricordo che ciascuno ha i suoi tempi di elaborazione delle informazioni e che non devo mai smettere di credere che i semini piantati con passione, dedizione, calma e tante risate prima o poi portano frutto. Sempre.

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