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Le parole sono ovunque, sempre presenti intorno a noi e dentro di noi. Siamo immersi in esse e conosciamo bene il potere che hanno di incidere sulle persone e la realtà.
Nella logoteatroterapia occupano un posto d’onore in numerosi ambiti. Vediamo ora come utilizzarle per lavorare su aspetti quali la rigidità cognitiva, presente in molte patologie, tra cui il funzionamento intellettivo limite, la disabilità intellettiva, il Disturbo dello Spettro Autistico o il deficit da funzionamento adattivo.
Abbiamo già compiuto con i nostri ragazzi un lavoro di propriocezione per percepire il corpo e il suo funzionamento, unito a un lavoro di ritmo ovvero di alternanza di tensione-pausa-rilassamento. Possiamo passare a rendere il corpo espressivo, comunicativo.
L’attività disegniamo con il corpo è di immediato accesso: data una parola pronunciata dal conduttore, ciascun allievo immediatamente la interpreta con postura, nuovo equilibrio, utilizzo degli arti e anche della mimica facciale. Il difficile non è trovare una postura che rispecchi ad esempio la parola “zanzara”: la difficoltà sta nel rimanere immobili e mantenere suddetta postura per almeno quindici secondi (ecco che interviene la propriocezione e la pausa in tensione) senza cambiare in continuazione, aggiustare o muoversi. Infatti, anche per gli attori professionisti, è sempre molto più facile infarcire una determinata performance di elementi piuttosto che “stare” semplicemente nella situazione richiesta. Un grande autocontrollo è quindi necessario al mantenimento della posizione, soprattutto lavorando in gruppo e vedendo le posture altrui, le quali potrebbero attivare i neuroni specchio e suscitare cambiamenti nel proprio “disegno” per renderlo più simile a quello dei compagni.
Ma l’apprendimento di tutto ciò si stabilizza quando l’attività diviene un’entrata in scena. Ora la nostra attrice, che chiameremo Carolina, deve decidere da sola una parola da interpretare. Tenerla a mente senza condividerla a voce alta con gli altri. Entrare in scena, fermarsi al centro, orientarsi a favore del pubblico e disegnare la parola con il proprio corpo. Percepire autonomamente il tempo necessario a mantenere la posizione, quindi rilassare il corpo; orientare nuovamente il movimento verso la quinta opposta e uscire di scena. Il pubblico che osserva restituirà a Carolina la correttezza o meno della performance, se avrà compreso o meno la parola che la ragazza aveva in mente.
La parola che ci trasforma è dunque l’inizio del lavoro dell’attore, il cominciare a essere “altro da sé”. Allenerà inevitabilmente comportamenti e linguaggio di volta in volta adeguati a situazioni differenti, all’incontro con nuove persone e nuovi contesti, nei quali non rimanere smarriti o in disparte, ma riuscire a funzionare al meglio.
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