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Il gesto: supporto ineguagliabile delle parole

Nel laboratorio teatrale, dopo una piccola fase di riscaldamento in cui sperimentiamo tutto lo spazio che braccia e mani possono raggiungere e le varie posizioni che assumono, sia all’unisono che una per volta, iniziamo spontaneamente ad abbinarle ad un’espressione del viso.
In principio i piccoli attori imiteranno tutte le proposte dell’animatore, incamerando nella loro memoria che un tale gesto “supporta” una frase interrogativa, l’altro un’esclamazione di terrore, il terzo l’emozione della tristezza e così via.

Spesso mi è accaduto di notare che quando i bambini
Cecilia Moreschi
giocano liberamente fra di loro o si rivolgono all’adulto, non utilizzino affatto gli arti superiori per arricchire il messaggio che intendono trasmettere, qualora non lo facciano in maniera del tutto casuale, spesso errata.
È qui, pertanto, che rivolgiamo la nostra attenzione alla “rieducazione” del gesto: come se dovessero imparare la sequenza dei numeri, mostriamo ai bambini ipoacusici, disprassici e disorganizzati (e facciamo ripetere) una piccola gamma di gesti usati quotidianamente da tutti noi, che poi pian piano andremo ad ampliare.

Successivamente li stimoleremo a osservare gli adulti che in quel momento stanno usando una data gestualità relativa al contesto e alla conversazione.
È altresì utile soffermarsi su foto prese da una rivista o disegni dei fumetti. 

In una fase successiva del lavoro, e spesso con i bambini più grandicelli o i ragazzi, proporremo delle piccole improvvisazioni guidate a tema, nelle quali però gli attori devono escludere completamente la parola e comunicare con il compagno solo attraverso azioni sceniche, mimica facciale e soprattutto gesti. Semplici gag come l’entrare in un bar, chiedere un caffè, vederselo versare addosso da un altro avventore, uscire arrabbiati e macchiati, sono situazioni assolutamente esplicative di questo tipo di lavoro.

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