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Risale a più di due anni fa il lavoro svolto con Rebecca (nome di fantasia) affetta dal Disturbo dello Spettro Autistico, per allenare le sue competenze socio-pragmatiche e far sì che il suo linguaggio, verbale e non verbale, fosse sempre più coerente, efficace e puntuale nella conversazione con gli adulti e il gruppo dei pari.
Ricordo la ragazzina conosciuta all’indomani della reclusione dovuta alla pandemia. Dobbiamo ancora indossare le mascherine e fare attenzione al distanziamento; igienizzarci spesso le mani e aprire altrettanto sovente le finestre, anche in pieno inverno. Eppure, tutto ciò non ci impedisce di costruire fin da subito un profondo rapporto fatto di gioco, risate e nuove scoperte.
Grazie al lavoro proprio della logoteatroterapia, a piccoli passi Rebecca riscopre il suo corpo e le immense possibilità comunicative insite in esso. Prende coscienza di quanto lei stessa possa avere il controllo anche del più piccolo elemento come la rotazione del polso o lo spostare il peso da una gamba all’altra. Che ogni cambio di postura significa qualcosa per le persone che ci vivono accanto. E che “abitare” il nostro corpo e averne piena consapevolezza è un po’ come saper guidare la macchina: se non facciamo attenzione il veicolo può causare incidenti più o meno gravi, nei quali provocare danni a noi stessi o agli altri. A Rebecca piace molto la metafora della macchina e spesso mi ripete che stiamo studiando il corpo in movimento per poter “prendere la patente”.
Una volta che siamo a buon punto con tale lavoro, passiamo al linguaggio verbale espressivo, associato alla postura o alla gestualità. Utilizziamo frasi composte da un unico vocabolo, poi da due, infine più lunghe. Giochiamo con esse, con le risposte, con i personaggi che le pronunciano. Lavoro poi per paradossi, pronunciando appositamente enunciati assurdi o incoerenti che suscitano grandi risate in Rebecca. Ed è lei ora a correggermi, affermando che se sto a braccia conserte e sguardo torvo, non potrò mai dichiarare di essere felice. “Non è credibile”, continua a ripetermi. “Io, non ci crederei mai.”
Trascorrono due anni, nei quali sperimentiamo una moltitudine di altri aspetti e realizziamo due bellissimi spettacoli.
La scorsa settimana mi ritrovo a raccontare a una giovane studentessa universitaria tutto il percorso compiuto con Rebecca. Ebbene, felicemente sorpresa scopro chela ragazza si ritrova con grande competenza a ripetere la tipologia di esercizi svolti nell’inverno del 2022 come se fosse trascorso un solo giorno. Rievoca l’intero percorso sia da fuori, osservando la mia interazione scenica con una collega, che da dentro, recitando insieme a me e fornendo poi alla studentessa un’analisi sopraffina e puntuale di quanto avevamo interpretato e di ogni singolo elemento.
Ancora una volta ho la riprova di quanto le attività esperite con corpo, mente e linguaggio e soprattutto nell’armoniosa relazione con un altro essere umano, si depositino indelebilmente nella memoria a lungo termine e soprattutto siano in grado di ampliare e migliorare i nostri schemi comportamentali, permettendoci relazioni più efficaci e soddisfacenti.
Ma Rebecca, con la consueta vivacità che la contraddistingue, interrompe prontamente il corso dei miei pensieri con la seguente domanda; “Allora, l’ho presa la patente?” Ciò fa scaturire in tutti una gran risata che conclude il nostro tempo insieme.
Certo che hai preso la patente, Rebecca. A pieni voti.
Complimenti.
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