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Guardarsi negli occhi mentre si parla

Disponibile a breve anche tramite podcast.

Insisto sempre sul mantenere il contatto oculare quando si parla con un’altra persona, non solo per l’attenzione e il rapporto, ma anche affinché sia chiaro con chi sto parlando. Infatti spesso mi capita di parlare con uno dei miei ragazzi (guardandolo negli occhi) ma è un altro a rispondere, probabilmente perché si attivano i suoi neuroni specchio e quindi si sente coinvolto a pieno titolo nell’argomento discusso, senza accorgersi che in realtà la conversazione non lo riguarda. La mancata attivazione del meccanismo di controllo di suddetti neuroni, che in questo caso dovrebbe divenire inibizione verbale, gli permetterebbe di evitare di parlare laddove la conversazione non lo interessi direttamente.
Quando accadono episodi di questo genere mi fermo e riporto l’attenzione su chi siano le persone che si stanno guardando e di conseguenza quelle direttamente coinvolte nel dialogo; le altre possono inserirsi e partecipare alla conversazione solo quando il conduttore o terapista sposti il proprio sguardo esattamente su ciascuno di loro. E questo non capita solo con quei soggetti affetti da disabilità intellettiva, ma anche nei bambini che si attivano con troppa facilità, e se io chiedo a un loro compagno quale sia il suo cibo preferito o la sua squadra del cuore, non vedono l’ora di essere loro a rispondere. Se affetti da ADHD vedremo i ragazzi sostituirsi fisicamente all’interessato, surclassandolo sia con il volume della voce che con il proprio corpo, che si intromette tra me e l’altro; ma anche laddove non ci sia alcun tipo di disturbo o difficoltà, spesso i nostri bambini (ma anche gli adolescenti e a volte persino gli adulti) sono portati dalla vita frenetica, dall’eccessivo uso dei dispositivi elettronici, dalle classi chiassose nelle quali passano molte ore della giornata, a parlare spesso e volentieri non rispettando né i compagni né il turno di conversazione.
L’allenamento a sviluppare abilità conversazionali può essere svolto grazie a una miriade di giochi o esercizi. Io di solito utilizzo il seguente.
Siamo tutti seduti in cerchio e io spiego ai miei ragazzi che sto per pronunciare una battuta alla quale uno di loro dovrà rispondermi nel modo che preferisce. Sceglierò io stessa l’interessato guardandolo negli occhi, ma inizierò la frase fissando il pavimento e solo al momento delle ultime due o tre parole guarderò l’attore o attrice del quale desidero la risposta. Solo lui o lei potrà fornirmela, gli altri magari ce l’hanno sulla punta della lingua ma la devono frenare. Questo semplicissimo esercizio è di sicuro successo e piace sempre a coloro che vi partecipano. Naturalmente sarà poi la volta di ciascun componente del gruppo di ideare una battuta iniziale; pronunciarla a voce alta ma guardando il pavimento; spostare il contatto oculare agganciando quello di un compagno solo all’ultimo momento. È facile dunque immaginare quanto anche chi conduce debba sviluppare un notevole controllo delle azioni che sta per compiere, oltre alla creatività verbale e al rispetto dei tempi e della corretta sequenza.
Giochi del genere non lavorano solo sui tempi attentivi, l’ascolto, il contatto oculare e l’inibizione verbale. In seconda istanza, ma non meno importante, insegnano il rispetto dei tempi e dello spazio altrui. Ciascuno ha il diritto di parlare, anche il compagno che impiega qualche secondo in più a elaborare la risposta corretta; non sostituiamoci a lui/lei, anzi: concediamo il rispetto, la calma, l’ascolto e lo spazio esattamente quanto ne desideriamo per noi stessi.

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