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Il bambino terapista degli altri e di se stesso

Disponibile a breve anche tramite podcast.

Non so quante volte l’ho veduto accadere: un bambino che si pone come agente terapeutico di un altro ed è enormemente più efficace di tutti i terapisti adulti presenti nella stessa stanza.
Ma andiamo per ordine. Un pomeriggio al laboratorio di logoteatroterapia lavoro con quattro bambini di sette/otto anni. Uno di loro, che chiameremo Giulio, è affetto da numerose difficoltà di varia natura: linguistiche, mnemoniche, prassiche e motorie. Unisce a esse una simpatia travolgente che lo porta a essere sempre attivo, ma ben poco attento e alla continua ricerca di nuovi stimoli e nuove cose da fare.
A tutti i piccoli di quel giorno piace enormemente il gioco della Marionetta che cade in 10 tempi che ho dettagliatamente descritto nel volume dedicato alla Logoteatroterapia. Ma Giulio fa un’enorme confusione. Anticipa o non segue le consegne, utilizza entrambi gli arti perché ancora mostra difficoltà a inibire il movimento di uno di essi, unisce collo e schiena, non riesce a piegare le gambe nella modalità richiesta e così via. Dopo aver ripetuto il gioco un paio di volte, io e le colleghe ci fermiamo un attimo e dialoghiamo in merito a quali potrebbero essere le strategie o i metodi riabilitativi maggiormente adatti al nostro. Non ci accorgiamo che alle nostre spalle il suo amichetto Francesco (nome di fantasia anch’esso) ha spontaneamente avvertito l’esigenza di prendersi cura di lui. Gli si è messo davanti e operando la consegna guidata (che insieme alla mimica e alla verbale forma le tre modalità di consegna di un compito da parte di chi sa verso chi ancora non sa) gli fa ripetere l’intera sequenza necessaria alla realizzazione della Marionetta. Aspetta i suoi tempi, aiuta ogni singola parte del corpo a compiere l’azione richiesta e, visto che è alto esattamente quanto Giulio, quest’operazione gli riesce davvero molto bene. Dal canto suo Giulio è felice dell’aiuto insperato di Francesco e non si stanca di ripetere la stessa micro azione anche cinque volte di seguito, pur di fare tutto correttamente. Allunga i tempi di attenzione, si sforza di conquistare nuovi schemi motori, di mantenere l’equilibrio. Francesco, che di solito ha anch’egli tempi attentivi decisamente ridotti, mostra una pazienza e così tanti sorrisi di incoraggiamento da apparire come il terapista più navigato nella stanza. Inutile dire che il risultato raggiunto alla fine è molto più soddisfacente di quel che Giulio aveva acquisito con me qualche minuto prima.
I bambini, agenti terapeutici gli uni degli altri. Un bambino che vede un amico in difficoltà e automaticamente, spontaneamente, sente la difficoltà come propria e questo “sentire” lo spinge ad agire, ad aiutare l’altro senza pretendere nulla in cambio, con la sola enorme soddisfazione di veder riuscire l’amico in una attività nella quale prima era carente. E la gioia provata alla fine è la stessa che avrebbe sperimentato se quella conquista fosse stata sua. Potenza dell’empatia e ancora una volta del sistema “mirror” che ci rende esseri umani nell’accezione più nobile del termine, la sola che dovremo mettere in campo, sempre.

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