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Rifletto su Francesca, nome di fantasia come i seguenti, ragazza con fragilità legate all’utilizzo del linguaggio, sia per quanto riguarda la corretta formazione della frase che l’utilizzo della stessa in contesti sociali. Stiamo lavorando sulle entrate in scena, con e senza battute verbali. La giovane è brava e appassionata di recitazione, spesso alza la mano per essere la prima a compiere una nuova attività. Anche stavolta arriva il suo turno ma si ripete qualcosa che ho visto accadere spesso, e non solo a lei. Nonostante io fornisca uno spazio scenico con elementi che simboleggiano inizio e fine, Francesca inizia bene l’entrata richiesta, ma la sua energia (o meglio l'attenzione, la concentrazione sul compito che si esplica in camminata espressiva, gesti, postura, mimica facciale e, a volte, battuta verbale) si esaurisce ben presto e la nostra arriva a metà strada con il corpo che sembra perdere tutta la vitalità di un attimo prima, mentre il viso comunica di non saper più che fare. Francesca si ferma e torna indietro, esprimendo la sincera convinzione di aver fatto male fino a quel momento e comunque di non essere brava come gli altri. Con grande delicatezza mi pongo accanto a lei e insisto perché non getti la spugna, invitandola a riprovare mantenendo la tensione recitativa almeno un metro in più di prima. Poi un altro pezzetto, un altro ancora ed ecco che tutto il percorso è compiuto.
La stessa cosa accadeva qualche giorno fa a Federica, ma anche ad Anna, Kalib e tanti altri. Sostenere la tensione necessaria a portare a termine un compito, di qualsiasi tipologia, da un punto di vista terapeutico allunga i tempi di attenzione e concentrazione, dovendo oltretutto non farsi distrarre da eventuali commenti o risate degli altri partecipanti. Ma la sua importanza non finisce qui. Significa anche non arrendersi solo perché non si sa che altro fare o non si ha altro da dire. Quando Francesca nella scena citata torna indietro al punto di partenza, sembra quasi ritrarsi nel suo guscio, ovvero nella zona comfort, abbandonando un compito perché ritiene di non essere assolutamente in grado di portarlo a termine. Ci ha provato, ha funzionato per un po’, ma poi ha abbandonato, è tornata indietro sperando che il suo posto sia preso da qualcun altro. “Non ti arrendere” le ho detto. “Fidati di me. So bene che sei perfettamente in grado di farcela”. La convinzione dei miei occhi e delle parole funziona. Non solo per l’entrata in scena, dalla quinta di sinistra a quella di destra. Ma per credere, in ogni momento della sua vita, di potercela fare.
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