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Prove attenzione e rispetto

Mi trovo spesso a riflettere su quanto l’aspetto terapeutico coincida con quello educativo.
Siamo nel bel mezzo delle prove dello spettacolo ispirato al Mago di Oz. Serena – nome di fantasia - interpreta la parte di Dorothy nel momento del suo arrivo alla città dei mastichini. La bambina frequenta la quinta classe della scuola primaria. Vivace, allegra, sempre sorridente, ha però dei tratti di iperattività mescolati a mancata percezione della prossemica e degli spazi di rispetto dell’altro. Le ho rimandato spesso che tale eccessiva vivacità o invasione dello spazio e degli oggetti altrui può essere scambiata per mala creanza da chi non la conosce bene. So infatti che a scuola c’è una docente che non riesce proprio a instaurare un rapporto con lei; convoca spesso i genitori per

Cecilia Moreschi
lamentarsi della sua eccessiva effervescenza, la rimprovera davanti a tutti e così via. Serena tenta di controllarsi, ha migliorato enormemente il suo comportamento e i suoi apprendimenti, eppure di strada da fare ce n’è ancora un po’.
Ma torniamo a noi e a quel pomeriggio di prove. Serena è davvero brava nell’interpretazione di Dorothy e la memorizzazione delle battute. Mi accorgo però che esce completamente dal personaggio mettendosi a fare tutt’altro, allorché la scena non la riguardi direttamente, ovvero quando gli altri due attori hanno uno scambio di battute piuttosto lungo. La piccola non riesce proprio a mantenere l’attenzione sia corporea che emotiva se deve fare solo una controscena e non è coinvolta direttamente. Fermo quindi la prova e la faccio riflettere su questo aspetto, mostrandole con il gioco dello specchio esattamente ciò che stava facendo durante il dialogo di Davide e Tamara, altri nomi fittizi. Serena si rende conto subito che Dorothy dovrebbe fare tutt’altro. La invito dunque ad allungare i tempi d’attenzione mantenendo la tensione recitativa anche se non ha battute, facendo delle piccolissime controscene coerenti con il contesto. Allargando il discorso, le rimando il fatto che qualcosa di molto simile può accadere anche a scuola: di certo l’insegnante si infastidirà se lei si distrae vistosamente quando un compagno è interrogato. Se invece riesce a controllarsi, allungando i tempi d’attenzione o quantomeno riducendo la perenne attività dei suoi arti, eviterà un ennesimo rimprovero. Una collega pone inoltre l’attenzione sul fatto che continuare a muoversi mentre recitano gli altri è una mancanza di rispetto. Giustissimo, rispondo io. Ecco una motivazione in più all’autocontrollo: il rispetto e il riguardo verso i propri amici.
Una volta di più mi rendo conto che l’aspetto terapeutico e quello educativo sono indissolubilmente legati. E che, grazie al teatro, non solo rinforziamo le competenze e gli apprendimenti dei nostri ragazzi, ma possiamo rimandare loro elementi importantissimi per la pacifica convivenza nella società.

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