Passa ai contenuti principali

Il teatro che aiuta i genitori a crescere

Disponibile a breve anche tramite podcast.

Ultimamente ho avuto la possibilità di leggere il prezioso volume di Asha Phillips I no che aiutano a crescere. Il saggio proviene dall’eminente esperienza concreta e potremmo dire quotidiana dell’autrice in veste di psicologa familiare con centinaia di neonati, bambini, adolescenti e le loro famiglie, intrappolati nelle più varie difficoltà. Tra i numerosissimi preziosi suggerimenti, uno ha particolarmente colpito la mia attenzione. Il fatto che, data la difficoltà di convivere con ragazzi affetti da importanti patologie, i genitori nel corso degli anni, abbassino sempre più le richieste, arrivando a sostituirsi ai loro figli in quasi tutto, nella convinzione (che si radica giorno per giorno senza a volte neppure accorgersene) che una serie di azioni o tappe evolutive non saranno mai alla loro portata. L’autrice comprende perfettamente il difficile ruolo delle mamme e dei papà soprattutto quando hanno a che fare con situazioni particolarmente difficoltose e pesanti; ed è più che comprensibile l’adottare strategie di mantenimento della calma e serenità in famiglia. Ma l’aiuto di tutti noi che operiamo con l’età evolutiva deve proprio essere (tra le altre cose) il rimandare i passi compiuti dal bambino o dal ragazzo ai genitori proprio affinché  la fiducia e la speranza possano germogliare in loro di nuovo.
È esattamente ciò che è accaduto qualche tempo fa con Riccardo (nome di fantasia come i seguenti).
Il bambino mostra enormi difficoltà a contenere l’attività motoria, ad accorgersi degli altri, a non desiderare tutto e subito, a comprendere i ruoli e le regole sociali. Nel laboratorio di logoteatroterapia lavoriamo esattamente su questi aspetti, non ultima la capacità di rimandare a un secondo momento le gratificazioni. Infatti, quella mattina, il tempo scorre veloce e non ci sono più minuti a nostra disposizione perché anche lui reciti nell’improvvisazione finale, come hanno appena fatto i suoi compagni. Mi ricorda insistentemente che tocca a lui, gli mostro le lancette del mio orologio e gli spiego che il tempo è terminato ma la prossima settimana di sicuro recupereremo l’attività che desidera e sarà il primo a cominciare. “Va bene” mi risponde. Senza alcuna ritrosia indossa la giacca, ripone la sedia al suo posto, saluta tutti e si avvia all’uscita. Incontro la mamma, le racconto della serenità con la quale Riccardo ha accettato di aspettare addirittura una settimana il momento in cui finalmente recitare la scena che gli piace tanto. Lei sgrana gli occhi e le labbra completano il disegno rivelandomi un luminoso sorriso. Mi comunica che è la prima volta che accade una cosa del genere. “Benissimo” rispondo io. “Quindi ora, a casa, sapete che Riccardo è assolutamente in grado di posporre la gratificazione e potrete chiedergli di farlo quando ce ne sarà bisogno”. “Certamente. Grazie” sono le sue ultime parole prima di uscire. Ma il bagliore di quel sorriso permane e si trasferisce nello sguardo che posa su quel piccolo bambino, che ha appena compiuto qualcosa di grande.

Commenti